Silvia bottari

Silvia Bottari

Il peso invisibile del carico assistenziale dei caregiver

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Per caregiver informale di intende una persona che si prende cura in ambito domestico e familiare di un individuo anziano o disabile, comunque non autonoma Si differenzia dal caregiver formale che indica invece tutti colori che professionalmente sono impegnati nella cura. Nella nostra realtà circa italiana il 70-80% dei caregiver informali sono donne, per lo più figlie, e spesso sopperiscono all’intero compito di cura.

Prendersi cura di una persona non autosufficiente, ancor più se in modo esclusivo, può diventare a lungo andare un compito molto stressante e logorante sia emotivamente, per la complessità delle emozioni che accompagnano la dimensione della cura, sia per il carico mentale delle responsabilità che questo ruolo comporta, non meno per il carico anche fisico, fatto di interventi pratici, sollevamenti, spostamenti e notti insonni che il caregiving comporta.

In assenza di efficaci strategie di autoaiuto e di sostegno, a lungo andare il carico assistenziale può farsi insostenibile fino ad arrivare  a quello che viene chiamato Caregiver Burden, letteralmente il “fardello” del caregiver. Che cos’è il Caregiver Burden? Viene comunemente definito come il peso dell’assistenza percepito dal caregiver, un aumento del livello di stress che si traduce in un disagio psicologico caratterizzato da ansia, depressione, malessere fisico, facile irritabilità, insonnia, somatizzazioni, sbalzi di umore, agitazione e facilità ad ammalarsi.

Questo sovraccarico eccessivo del caregiver si ripercuote negativamente quindi sia sulla sua salute, con tutti gli effetti che abbiamo visto, sugli equilibri familiari (portando spesso a malumori anche all’interno della famiglia, tra coniugi, coi figli, ma anche tra fratelli e più in generale con la famiglia estesa), ed anche sulla situazione economica: pensiamo a quanto può essere costosa l’assistenza di una persona anziana in termini di spese per i medicinali, ausili, figure professionali private talvolta necessarie, o anche le cosiddette “badanti” necessarie spesso che coprire l’assistenza o per concedersi periodi di sollievo. Talvolta la persona che si fa carico del caregiving arriva anche alla scelta di ridurre o lasciare il lavoro, come decisione più conveniente ma comunque molto onerosa.

Tra i fattori che influenzano la portata del carico assistenziale, di natura sia oggettiva che soggettiva, riconosciamo:

  • il numero di ore dedicate (diverso è assistere qualche ora magari dandosi il cambio tra sorelle o fratelli o con un caregiver informale, altra cosa è farsi carico totale di un parente non autonomo e convivente).
  • Il tipo di malattia o disabilità: maggiore è la compromissione del grado di autonomia nelle attività della vita quotidiana maggiore sarà il carico. Una persona ancora autonoma nell’alimentarsi o nel vestirsi, per non parlare dell’igiene, darà un carico più elevato di un anziano che necessita di assistenza ma è ancora collaborante.
  • Inoltre il carico aumenta in presenza di decadimento cognitivo, disturbi psichiatrici o comportamentali. Avere a che fare con una persona con demenza, che magari manifesta allucinazioni e deliri, o aggressività comportamentale mette certamente in ulteriore difficoltà perchè obbliga a confrontarsi con qualcosa di nuovo, imprevedibile e ignoto, a tratti spaventoso. Non si parla solo del carico fisico ovviamente ma anche del carico emotivo, del dispiacere, dello smarrimento, nel vedere il proprio caro probabilmente come non avremmo mai voluto vederlo.

Tutti questi aspetti concorrono ad aumentare i livelli di stress del caregiver che potrà quindi manifestare alcuni comportamenti e pensieri a cui prestare attenzione in quanto campanelli d’allarme per la propria salute psicofisica. Tra questi segnali d’allarme ritroviamo:

  1. Un’eccessiva preoccupazione per il futuro, accompagnata da vissuti d’ansia e di minaccia per ciò che verrà. Quando il carico si fa eccessivo ci si può sentire in affanno, in un tunnel senza ritorno in direzione di un futuro angoscioso e senza soluzione, dove possibilmente le cose diventeranno sempre più difficili. Ci si preoccupa del peggioramento delle condizioni di salute del proprio caro, di non riuscire a svolgere il proprio compito, di come andranno le cose
  2. Sensazione di non avere abbastanza tempo per se stessi. In questo vortice di ansia e responsabilizzazione ci si può sentire totalmente assorbiti dalla cura e avviluppati dalla causa del proprio caro, attorno a cui tutto ruota. Le visite, gli orari delle medicazioni, delle terapia, diventano la nostra stessa agenda togliendo spazio ovviamente ai propri impegni personali
  3. A questo si associa la sensazione di essere indispensabili, di non potersi assentare, non poter andare in vacanza, nell’impossibilità di poter essere sostituiti. Questa percezione di indispensabilità collude spesso con una certa dipendenza del familiare che non tollera la presenza di nessun altro. Altre volte è il caregiver a non essere capace di delegare
  4. Mancanza di sicurezza e sensazione di colpa, questo può derivare dalla complessità del compito di cura e dal non sentirsi abbastanza sicuri e competenti per svolgerla al meglio, con la sensazione di non fare abbastanza o abbastanza bene
  5. Perdita di senso dell’umorismo e irritabilità quando la situazione si fa così grave da non lasciare spazio alla capacità di sorridere delle cose e relativizzare ma tutto è preso così seriamente e pesantemente. Già saturi delle proprie faticche il caregiver diventa intollerante a tutte le altre piccole e grandi sollecitazioni quotidiane
  6. Calo di interesse per il mondo esterno, che porta ad un disinvestimento sul mondo fuori con un forte rischio di ritiro, isolamento e solitudine in un circolo vizioso molto pericoloso
  7. Stanchezza e spossatezza, non solo conseguenze dell’impegno fisico ma anche stanchezza mentale, ansia e umore deflesso, insieme a disturbi del sonno e dell’attenzione
  8. Sensazione che occorre maggior impegno, quasi un giudice esterno che chiede di più, sempre di più perchè si fa mai abbastanza
  9. Sensazione di solitudine e soprattutto di abbandono, con la convinzione che nessuno possa o voglia essere di aiuto

In presenza di questi vissuti,spesso invisibili all’esterno poiché nascosti per un senso di vergogna e riservatezza o, nel vortice del ritmo quotidiano, celati dietro uno schermo di efficacia ed efficienza, è importante che il caregiver abbia il coraggio di aprirsi e chiedere aiuto, sia professionale che sociale, così come è importante che il contesto intorno, la famiglia, gli amici, i colleghi imparino a cogliere questi segnali con profondo rispetto e attenzione superando ipocrisie e pregiudizio e recuperando quel senso di solidarietà e cooperazione che dovrebbe regolare una comunità evoluta.

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