Quante volte ci si sente molto stanchi, termina una giornata e si sente di essere proprio esausti?!
Può essere che la stanchezza di quella sera faccia rima con tristezza?
Quando molta della nostra stanchezza è accompagnata anche da una sensazione di tristezza allora abbiamo qualcosa su cui riflettere.
Innanzitutto il corpo, grande portatore di messaggi cifrati, ci segnala attraverso la stanchezza che stiamo portando pesi troppo grossi, che stiamo arrancando, forse c’è anche un problema di ritmo, può essere che si stia andando troppo veloce?
E poi la mente che ha un umore triste e con questo ci ricorda che i progetti o le scelte che stiamo vivendo non ci rendono pienamente felici.
Secondo il filosofo e sociologo Byung-Chul Han la stanchezza è diventata la caratteristi- ca predominante della società contemporanea, società che si focalizza su un eccesso di prestazioni e sull’auto-sottomissione. La società contemporanea è il risultato di una pres- sione costante per il successo individuale, la visibilità sociale e la produttività. Han ana- lizza il modo in cui la tecnologia, la comunicazione digitale e l’iperattività contribuiscono a questa cultura della prestazione, portando a una crescente solitudine, isolamento e an- sia. Come possiamo all’interno di questo contesto trovare una strada maestra per stare bene, per stare meglio? Come possiamo occuparci del nostro benessere?
Secondo Eric Berne, fondatore della teoria dell’Analisi Transazionale: “L’uomo è nato libero, ma tra le prime cose apprende ad agire secondo direttive altrui e trascorre tutto il resto della vita e fare ciò”. L’ideale di benessere quindi è l’autonomia, esser liberi di esprimere se stessi e di fare ciò che ci fa star bene. Per opporci quindi a questa continua pressione verso la produttività e la visibilità sociale possiamo tornare a occuparci di noi e della nostra autonomia. E come possiamo coltivarla? Occupandoci di tre capacità fondamentali:
• la consapevolezza, • la spontaneità,
• l’intimità.
La consapevolezza è la capacità di stare con quello che c’è, per quello che è. La persona consapevole non ha bisogno di interpretare, giudicare o criticare l’esperienza, ma la vive per quello che è. Così da mettere a tacere quella voce che a volte ci dice “come devono essere” le cose, le situazioni.
Per spontaneità in psicologia si intende la capacità di scegliere liberamente come rispondere alla situazione presente. Al contrario può essere che qualcosa del presente attivi una risposta ormai automatica creatasi nel passato, quando, ad esempio, abbiamo uno scatto d’ira se si toccano certi temi, o quando ci facciamo convincere a fare qualcosa che non
avevamo intenzione di fare. Essere consapevoli di cosa ci accade a determinati stimoli ci dà l’opportunità di scegliere come reagire, quindi ci rende più spontanei.
Infine la terza capacità è l’intimità, intendendo per essa la possibilità di mettersi in con- tatto con le emozioni autentiche e condividerle con l’altro. Essere intimi vuol dire stare assieme in modo da poter dire all’altro come si sta veramente, cosa si prova, come ci si sente in quel momento senza giudizio, paura o vergogna, e riceve in cambio una risposta adeguata a ciò che si dice e prova. È un’esperienza vitale e importantissima per l’essere umano.
In conclusione, consapevolezza, spontaneità e intimità si rivelano come gli elementi antidoto alla stanchezza-tristezza, sono le chiavi che aprono le porte all’autonomia, consentendoci di vivere una vita più autentica e appagante.
A che punto siamo nella ricerca del nostro equilibrio per la felicità?
Non dimentichiamo di prestare attenzione alle corde della mente e del corpo, ascoltando attentamente le loro melodie, che siano in disaccordo o armonia tra loro. Ascoltare i propri sentimenti e prendersi cura di se stessi è un modo per scegliere la strada della felicità autentica.