«Una certa mamma, quando il suo bambino ha mangiato gli spinaci, lo premia di solito con un gelato. Di quali ulteriori informazioni avreste bisogno per essere in grado di predire se il bambino:
– giungerà ad amare o a odiare gli spinaci;
– ad amare o a odiare il gelato;
– ad amare o a odiare la mamma?»
G. Bateson, Verso un’ecologia della mente
Premessa
La relazione educativa si costruisce un passo alla volta, giorno dopo giorno. Ogni passo è fatto di scelte che trasformano il rapporto di fiducia tra adulto e bambino. Possiamo dire che il processo educativo è un lungo e continuo scambio di nutrimento. A seconda del tipo di nutrimento che scegliamo, la relazione crescerà e si svilupperà di conseguenza.
Nell’affrontare il tema Premio-Punizione (i due termini sono sempre uniti e interscambiabili, e più avanti vedremo perché), possiamo semplificare dicendo che la relazione educativa può essere nutrita di fiducia e amore o, al contrario, di violenza e paura. Ogni scelta che compiamo consapevolmente nella relazione educativa può nutrire di amore o di paura, di fiducia o di violenza. Da questo particolare punto di vista, non esistono vie di mezzo.
Il meccanismo Premio-Punizione
Osserviamo il funzionamento del meccanismo Premio-Punizione. Esso prevede la subordinazione di un comportamento all’ottenimento di un premio o all’evitamento di una punizione. La citazione a inizio articolo, tratta da un fondamentale libro di Gregory Bateson, descrive la prima faccia della medaglia, il premio. La mamma in questione subordina il consumo degli spinaci (evidentemente poco graditi al suo bambino) al premio del gelato. È importante, però, evidenziare da subito che ogni premio può trasformarsi in punizione, nel momento in cui non viene ottenuto. L’effetto psicologico è lo stesso. L’esempio speculare potrebbe essere che la mamma dice al bambino che, se non mangerà gli spinaci, non potrà guardare la televisione dopo pranzo, come normalmente fa.
Entrambe le condizioni costruiscono una relazione di scambio basata sul potere arbitrario (di scegliere e di dare un premio o una punizione) e sulla paura (di perdere il premio o di ricevere una punizione). Ma, come suggerisce indirettamente Bateson, in gioco, d’avvero, non ci sono gli spinaci (o il gelato o la televisione) ma la relazione d’amore mamma-bambino.
Una scelta arbitraria dell’adulto
Come è facile osservare, nell’esempio degli spinaci l’adulto sceglie arbitrariamente un premio o una punizione, che sono emotivamente importanti per il bambino ma senza che vi sia necessariamente alcun collegamento logico con l’azione subordinata. Cosa collega davvero il gelato con gli spinaci (a parte che entrambi si mangiano)? Cosa collega gli spinaci alla televisione? Se si osserva senza pregiudizi e in modo lucido, si può capire che non esiste un reale collegamento logico. Tale collegamento è artificiosamente costruito dall’adulto, seguendo un proprio principio interno: scelgo il gelato o la televisione perché so che sono allettanti per il bambino. Li collego agli spinaci definendo una relazione di scambio nella quale io adulto mi arrogo il potere di decidere se dare o meno il premio-punizione nel mio nuovo ruolo di giudice supremo.
La relazione di amore scivola verso una nuova forma, quella della manipolazione costruita sulla paura (di ricevere una punizione o di perdere un premio). Il rapporto si fa confuso per la mente del bambino e, come nel famoso “gioco delle tre carte”, l’adulto finge di parlare di una cosa (per esempio, quanto fanno bene gli spinaci) portando altro alla coscienza del bambino (la paura).
Il collegamento logico tra il comportamento in questione e il premio-punizione scelto dall’adulto, sfuggendo alla comprensione del bambino, obbliga quest’ultimo ad adeguarsi senza capire, senza un senso reale per lui. Per questo motivo, non vi è possibilità reale di apprendimento.
Spostare l’attenzione da ciò che è importante
Le due condizioni principali perché un bambino, crescendo, possa apprendere dall’esperienza sono: 1. Fare esperienze di senso; 2. Avere il tempo di ripetere l’esperienza e di elaborarla, per comprenderla e interiorizzarla.
Accenniamo a un nuovo esempio. Immaginiamo un bambino di 6 anni che inizia la scuola primaria e, nel tempo, deve comprendere l’importanza di affrontare la fatica di leggere per imparare a farlo con fluidità e con piacere. Se si subordina il “compito” di leggere a un premio-punizione, spostiamo tutta l’importanza di quell’azione dal leggere al premio-punizione. Arbitrariamente, svuotiamo di senso il leggere e riempiamo di senso il premio-punizione. In questo modo, si priva il bambino del tempo e del valore dell’esperienza che interessa d’avvero. Derubato del tempo e del senso, il bambino non maturerà una motivazione interna al compito che potrà sostenerlo nella crescita, ma una motivazione esterna, arbitraria, priva di senso reale per lui, se non quella dell’ottenimento di un risultato emotivamente significativo deciso da un giudice, l’adulto.
Due tragici corollari
Di solito, l’adulto sceglie premi-punizioni particolarmente delicati e significativi per il bambino. Tuttavia, come conseguenza della crescita del bambino e dell’effetto di assuefazione psicologica, sarà necessario operare costantemente “al rialzo”. Il bambino, trasformatosi velocemente in un abile “mercante”, chiederà sempre di più (o temerà una punizione sempre più grande) e l’adulto si troverà nella situazione sempre più spiacevole di dover interpretare il ruolo di giudice implacabile, tradendo completamente la sua funzione primaria di amore. Nel quotidiano, non è solo il bambino a sentirsi intrappolato in questo sistema, ma anche l’adulto.
In secondo luogo, spesso l’adulto sceglie, come premio-punizione, un tema che non riesce ad affrontare con chiarezza e lucidità in altri modi. È il caso sempre più comune dell’uso dei dispositivi elettronici (playstation, tablet, cellulari). Non sapendo affrontare quel tema in modo autonomo, efficace e chiaro, lo si butta nell’arena del premio-punizione (perché per il bambino l’interesse è alto) arrivando a un effetto paradosso: volendo ridurre l’uso dei dispositivi, l’adulto che li sceglie nel meccanismo premio-punizione imporrà quel tema come l’unica, vera preoccupazione del bambino. Il nostro povero bambino non penserà ad altro!
Tornare a una relazione di senso
Ma allora, perché è così comune il sistema premio-punizione, tanto che lo ritroviamo in casa, a scuola, al lavoro, nelle relazioni amicali, nelle relazione di aiuto, ecc.? Perché in molti casi (ma non sempre!) ottiene dei risultati immediati. Il bambino di Bateson probabilmente mangerà gli spinaci, tappandosi il naso e senza respirare, per avere il suo gelato. La mamma avrà ottenuto il suo successo immediato, ma al costo del tradimento della relazione d’amore. Il bambino, non avendo interiorizzato il senso vero del mangiare gli spinaci, lo farà solo se spinto da motivazioni esterne (il genitore-giudice). Non appena il genitore non guarda, il bambino farà probabilmente tutt’altro. Negli anni, a furia di cercare di adeguarsi a richieste esterne arbitrarie e per lui insensate, fondate su manipolazione, violenza e paura, egli costruirà un’immagine di sé irreale, costantemente minata dall’ansia da prestazione e da un’immagine genitoriale interna negativa (il giudice feroce).
Per disinnescare questo pericolo è necessario abbandonare completamente il meccanismo premio-punizione, smettere di spostare il tema su altro e permettere al bambino di vivere appieno le esperienze.
Nell’esempio degli spinaci, la mamma può aprirsi a una scelta creativa. Da questa prospettiva, non esistono risposte precostituite, ma diverse scelte possibili: non proporre più gli spianaci; proporli in altro modo, più appetibili per il bambino (nei ravioli, passati in un bel risotto, ecc.); riproporli ogni tanto, invitando il bambino a mangiarli, ma senza ricatto, in attesa che sia pronto ad apprezzarli. Le possibili vie sono molte. In questo modo gli spinaci continueranno ad avere senso in quanto spinaci. Il bambino potrà sperimentare la pienezza del senso dell’esperienza. Nel tempo, il bambino avrà così l’opportunità di sviluppare la propria capacità di autoregolazione, di strutturare una motivazione interna solida e di interiorizzare un’immagine positiva dell’adulto.