Possiamo dire, nel 2021, di essere diventati piuttosto consapevoli dei rischi per la salute in cui si incorre scegliendo di fumare sigarette. Siamo a conoscenza, anche solo per sentito dire, delle possibili problematiche a livello respiratorio, cardiovascolare, oncologico.
Circolano però ancora molti “miti” legati al mondo del tabacco, ossia notizie non supportate da evidenze scientifiche che però possono incoraggiare le persone a iniziare o a continuare a fumare.
Quali sono i principali? Vediamoli insieme:
- Fumare è un calmante, e se non fumassi non riuscirei a gestire lo stress. Si tratta di una convinzione piuttosto diffusa tra le persone che fumano soprattutto per placare l’ansia. Ma le sigarette sono veramente un valido aiuto? La ricerca ci dice di no, anzi: chi non fuma o ha smesso di fumare è meno stressato di chi fuma. Chi fuma, inoltre, dorme meno ore di chi non fuma e un fumatore su tre dichiara di dormire male. L’origine di questa credenza risiede probabilmente altrove: per fumare ci si allontana dalla situazione stressante (ad esempio, accendendosi una sigaretta sul balcone), e più in generale la manipolazione di un oggetto ci dà illusoriamente la sensazione di padroneggiare (cioè tenere in mano!) la situazione che stiamo in qualche modo subendo. La nicotina, però, è uno stimolante, e dopo l’iniziale effetto di sedazione si genera adrenalina, la quale inizia a fare il suo effetto nel corpo, facendoci sentire più agitati. E ovviamente ansiosi. È a quel punto che spesso si fuma per calmarsi, innescando un circolo vizioso. Da non sottovalutare, poi, è il fatto che le crisi d’astinenza da nicotina provocano nervosismo e agitazione, condizioni che possono erroneamente essere scambiate per stress legato alle situazioni che si stanno vivendo. Un altro elemento degno di nota è che quasi la metà del piacere (e relax) provato fumando è in verità conseguenza dell’aver calmato l’astinenza.
- Poche sigarette al giorno non fanno male! Certamente fumare 3 sigarette al giorno è meglio che fumare un pacchetto intero, ma è comunque un numero sufficiente per aumentare il rischio di insorgenza di problematiche cardiovascolari di varia natura, come l’infarto (Prescott et al., 2002). E, di fatto, questo tipo di patologie costituiscono la seconda causa di mortalità legata al tabacco, sia per chi fuma sia per chi è “solo” esposto ai suoi effetti. Questo avviene a causa del monossido di carbonio (un gas che si genera in seguito alla combustione, e quindi all’accensione della sigaretta), e dell’effetto di molte altre sostanze che arrivano a combustione.
- Io fumo sigarette leggere, che fanno meno male. Nel 2002 l’Unione Europea ha messo al bando la dicitura “light” o “mild”, e lo ha fatto per un valido motivo: ingannavano i consumatori, facendo loro credere di fumare sigarette meno dannose perché ritenute più “leggere”. Queste diciture sono oggi state sostituite da termini come “gold” o “silver”, ma la sostanza resta uguale: le sigarette fanno tutte male allo stesso modo (Federal Trade Commission, 2000). Del resto, sono le stesse multinazionali del tabacco ad aver ammesso che i termini “light” e “ultra light” si riferivano al gusto percepito delle sigarette, e non al loro contenuto. Da non dimenticare, poi, il meccanismo della compensazione: molti fumatori che passano da una sigaretta più “forte” a una più “leggera”, per poter sentire maggiormente il sapore, attivano un meccanismo inconsapevole che si chiama compensazione, ossia aspirano di più e più a fondo la sigaretta, oppure ne aumentano il numero.
Nonostante le indicazioni contenute sui pacchetti, quindi, le sigarette percepite come leggere sono dannose tanto quanto quelle “pesanti”, e da questo punto di vista si somigliano un po’ tutte.
- Le terapie per smettere di fumare non funzionano. Il supporto psicologico abbinato all’uso di farmaci (quando necessari), possono raddoppiare le possibilità di riuscire a smettere. Da ricordare, inoltre, che spesso il primo tentativo non è quello buono, ma che non bisogna scoraggiarsi. Nonostante la frustrazione di non essere riusciti (e di dover riprovare da capo!), si potrà fare tesoro della prima esperienza, ad esempio non ricadendo in un errore già commesso. Un esempio? “Ne fumo soltanto una, che sarà mai?”.
- Chi non smette è perché non lo desidera veramente. Le ricerche ci dicono che la maggior parte dei fumatori (circa 2 su 3) vorrebbe smettere. E quindi? Il problema è che alcuni fumatori riescono a smettere da soli, ma molti altri falliscono a causa della dipendenza sia psicologica che fisica. Quest’ultima, data dalla presenza di nicotina, è paragonabile a quella indotta da eroina, cocaina e alcol (Stolerman IP & Jarvis MJ, 1995) anche se con una tossicità ovviamente molto diversa. Insomma è difficile, tanto che chi prova a smettere senza aiuti professionali (cioè la maggior parte delle persone) ci riesce in una percentuale piuttosto bassa (Fiore MC, Bailey WC, Cohen SJ, et al., 2000). I tanti che si sono affidati alla sigaretta elettronica cercando di smettere di fumare sono spesso incappati in una grande delusione e, molto più probabilmente, sono diventati fumatori “duali”, ossia hanno iniziato ad alternare le sigarette “classiche” alle e-cig o al tabacco riscaldato.
- Le persone sono libere di scegliere se fumare o meno. Questa affermazione è vera solo in parte, sia perché la dipendenza fisica e psicologica è piuttosto potente, sia perché siamo fortemente influenzati nella nostra quotidianità da informazioni pubblicitarie di cui non sempre siamo consapevoli. Dobbiamo infatti considerare che le multinazionali del tabacco spendono cifre inimmaginabili in pubblicità, con un’attenzione particolare verso i più giovani, che di fatto costituiscono i loro clienti del futuro: più dell’80% dei fumatori, infatti, diventa tale quando è un adolescente. Del resto, si era già visto nel 1988 con l’avvento di Joe Camel in America, che fece passare il mercato giovanile di questa sigaretta dall’1% al 13% nel giro di pochi anni. Sappiamo che la pubblicità delle sigarette è vietata dalla legge (in Italia dal 1962), e non circolano più immagini che vedono protagonisti medici che le consigliano perché fanno bene alla gola, oppure di Babbo Natale intento a fumare! Esiste però la pubblicità indiretta, quella che consente di rendere visibile il marchio attraverso le sponsorizzazioni, azione dalla presa tutt’altro che trascurabile. Basti pensare che i ragazzini che possiedono gadget promozionali su cui c’è il logo di una marca di sigaretta (t-shirt, cappellini, ecc.) hanno una probabilità 7 volte maggiore di diventare fumatore rispetto a chi non li possiede (Sargent JD, Dalton M, Beach M, 2000). Non vanno poi sottovalutati i film e le serie tv, i cui personaggi hanno una grandissima influenza sui ragazzi (Tickle JJ, Sargent JD, Dalton MA, Beach ML, Heatherton TF., 2001).
- Conosco persone (parenti stretti, parenti di amici, personaggi famosi) che hanno fumato fino a 90 anni e non sono mai state male. Si tratta di eccezioni che ci colpiscono molto e che quindi ricordiamo con grande facilità, ma è bene sapere che non costituiscono la regola. Mediamente, chi muore per malattie legate al fumo ha perso circa 14 anni di vita (MMWR Morb Mortal Wkly Rep. 2002). Non si tratta però solo di allungarsi la vita, ma di viverla bene finché si può, ossia senza disabilità causate da malattie fumo-correlate. Non bisogna comunque scoraggiarsi perché non è mai troppo tardi per smettere: anche se si è fumato per decenni, se si riesce a dire addio alle sigarette si migliora da subito la propria salute e la propria aspettativa di vita (Doll R, Peto R, Boreham J, Sutherland I, 2004).
- L’industria del tabacco fa girare l’economia. In verità, i costi sanitari e sociali a lungo termine sorpassano di gran lunga i benefici.
Oltre alle spese per le cure di chi sta male, chi non fuma è più produttivo e perde meno giorni di lavoro per problemi di salute rispetto a chi fuma (Halpern MT, Shikiar R, Rentz AM, Khan ZM., 2001).
La Banca Mondiale, inoltre, ha concluso che se le persone non comprassero più sigarette sceglierebbero comunque di investire i propri soldi in altri beni di consumo e servizi, generando ugualmente lavoro e introiti (Jha P, Chaloupka FJ, 1999).
- L’esposizione al fumo di sigarette è fastidiosa, ma non è mortale. Purtroppo, invece, può causare diverse malattie e anche la morte (Janson C., 2004). Dopo soli 30 minuti di esposizione, infatti, il sistema circolatorio di un non fumatore si comporta in modo simile a quello di un fumatore, e questo già di per sé aumenta il rischio di problematiche cardiache
L’esposizione a fumo passivo è poi associata ad un rischio più alto del 25% di incorrere in malattie respiratorie croniche. Le probabilità di sviluppare asma negli adulti aumentano di una percentuale compresa tra il 40% e il 60%, mentre nei bambini le probabilità di avere una malattia respiratoria acuta aumentano dal 50% al 100% (Law MR, Hackshaw AK, 1996). Si raddoppia infine il rischio di morti improvvise nei neonati, la cosiddetta “morte in culla” (Anderson HR, Cook DG, 1997). Non è un caso che recentemente il Comune di Milano abbia introdotto il divieto di fumo all’aperto se ci sono altre persone nel raggio di 10 metri. Si tratta di un provvedimento molto forte (e molto criticato), ma la decisione di introdurlo ha solide basi scientifiche.
- Vivere in una città inquinata è peggio che fumare. Secondo i ricercatori dell’Istituto dei Tumori di Milano, 5 sigarette inquinano quanto una locomotiva a gasolio. Ciò significa che sicuramente vivere in una città inquinata non fa bene alla salute, ma che è peggio fumare, e che se si abita in una grande città e contemporaneamente si fuma…non ci si fa un gran favore.
In conclusione, credo che sia importante conoscere e riconoscere i meccanismi che governano i nostri processi decisionali, ma anche quelli che regolano la dipendenza fisica e psicologica da una sostanza. Si tratta di un importante passaggio che può farci arrivare, se lo si desidera, alla decisione di provare a smettere di fumare. Perché chiudere con il tabacco è possibile!