C’è un rapporto stretto e inestricabile tra l’ambiente e l’uomo, in particolare da questa interazione scaturiscono sensazioni ed emozioni che ci ricordano quanto l’uomo sia evoluzionisticamente abituato a vivere in un ambiente naturale. Possiamo esserne consapevoli e guidare le nostre scelte in termini di habitat.
La presenza della vita dell’essere umano sul pianeta terra è un fatto tanto incredibile, malgrado sia percepito scontato e ordinario. Il primo ritrovamento che conosciamo della nostra razza risale a più di 200.000 anni fa, un tempo brevissimo se paragonato all’avvento delle prime forme di vita complesse (circa mezzo miliardo di anni fa). Queste migliaia di anni le abbiamo trascorse in un costante contatto con la natura tra i più svariati ambienti a cui ci siamo adattati tra le innumerevoli migrazioni che la nostra specie ha svolto a partire dal proprio luogo d’origine il: continente africano.
Il corpo e la mente degli umani ha convissuto con le savane, le foreste europee, le foreste tropicali, le steppe asiatiche, isole in mezzo agli oceani, distese di ghiaccio… L’evoluzione del nostro corpo e del nostro cervello è avvenuto in un contesto prevalentemente naturale, ha imparato ad adattarvisi, trovare strategie di sopravvivenza, interpretare i segnali che provenivano da queste zone.
I nostri adattamenti vengono indotti a partire dalle particolari contingenze di quello specifico habitat. Ad esempio c’è stato un adattamento verso i climi e le temperature. Non a caso il nostro corpo è privo di peli perché adattatosi a un contesto caldo come quello della savana. Una volta che la nostra specie è migrata in tutte le parti del globo ha dovuto recuperare le pellicce dagli altri animali per compensare. Anche i nostri ritmi biologici interni corrispondono a quelli scanditi dal passaggio della luce solare dal giorno alla notte, i neuroni che regolano il sonno sono ancora gli stessi dei nostri precursori, organizzati per una transizione graduale di luce e buio una volta al giorno. Inoltre, le nostre capacità attentive sono adattate per stare in un ambiente prevalentemente fermo, piatto e silenzioso, così poco stimolante o stressante come lo è la natura.
La nostra specie ha delle richieste evolutive che vengono dall’ambiente in cui si ha convissuto e si è adattato per anni, così come un anfibio ha bisogno di ambienti umidi e stagnanti. La struttura e il funzionamento di ogni essere vivente deriva da questa interazione con un ambiente circostante, un umwelt per citare von Uexküll, in cui si è casualmente trovato, è sopravvissuto, si è adattato e amalgamato.
Questa interazione tra quell’essere vivente col medesimo umwelt è inestricabile, ha tracciato solchi profondi del proprio passaggio nelle strutture del corpo di quell’animale, così anche nel suo cervello e quindi pure nelle emozioni. Edward Osborn Wilson chiama quel legame tra uomo e ambiente “Biofilia”. La nostra specie e ogni singolo individuo di cui è composta, è connesso con ciò che lo circonda, sia che interagisca con un animale o vegetale.
C’è una relazione affettiva, ovvero che si esprime con delle emozioni, in base a ciò che accade. Questo si può manifestare in varie circostanze delle vita di tutti i giorni. Proviamo a immaginare come ci sentiamo quando ci troviamo in una strada urbana, affollata di gente e di auto, dove si accumulano suoi di clacson, rumori di vario tipo, illuminazioni disparate da parte di lampioni e fari, le cui vie percorribili sono tracciate da mura o vincoli stradali, i colori prevalenti sono il grigio e il nero. Proviamo a immaginarci in un altro ambiente, esclusivamente naturale, qualsiasi esso sia, boscoso, accanto a un fiume, collinare, innevato o desertico, davanti a noi c’è solo una vasta distesa di paesaggio… ecco la differenza di quello che proviamo tra uno scenario e l’altro è proprio l’effetto di quei solchi radicati nel nostro corpo e nel nostro cervello tracciati dal nostro passato con l’ambiente.
Non è solo questione di sensazioni, scientificamente è riconosciuto l’effetto positivo a lungo termine di uno stile di vita che ritaglia tempo e spazio all’immersione in un ambiente naturale adatto. Questo effetto positivo si riscontra anche nel contesto di una singola esposizione di qualche ora alla natura: una sensazione di rilassatezza, stabilità emotiva, correlato a bassi di livelli di quella che si chiama “risposta da stress” (ovvero battito del cuore e respirazione moderati, bassa tensione muscolare, abbattimento dell’azione del sistema immunitario e sincronizzazione delle onde cerebrali).
Ma ancora un altro esempio di quel retaggio con l’ambiente naturale lo possiamo riscontrare quando ricordiamo o immaginiamo un ambiente a noi caro, che può far parte delle esperienze della nostra infanzia o uno a cui semplicemente ci sentiamo affezionati. Un pezzo di spiaggia, un mare, una montagna, una collina, un bosco o che altro. Adesso proviamo a osservare come ci sentiamo se quello stesso paesaggio muta, si inquina, si depaupera, viene sostituito da qualcosa di artificiale. Provate anche a pensare alla storia del “Ragazzo della via Gluck” di Adriano Celentano, probabilmente il sentimento che emerge è qualcosa di simile, la tristezza per una perdita. Il colore emotivo è quello di una perdita affettiva quando l’ambiente cambia.
Di esempi e di emozioni da citare ce ne sarebbero tantissimi e tutti con varie sfumature, ma ci possiamo fermare qui. Al di là delle svariate conferme scientifiche che sono arrivate in questo campo di studio, possiamo fare nostri questi spunti se cominciamo a prendere confidenza con i nostri cangianti e multicolore fatti emotivi e ci andiamo a osservare nel contesto in cui ci troviamo. Ecco che quello che emergerà sarà composto anche dalla nostra interazione tra noi e quello stesso ambiente, tracciato nei solchi della nostra storia ancestrale, rilasciato nel nostro corpo e al nostro cervello.
Wilson, E. O. (1986). Biophilia. Harvard university press.
Pievani, T. (2011). La vita inaspettata. Raffaello Cortina Editore.